domenica 15 giugno 2014

Le statue parlanti: Pasquino

Roma è spettatrice di un dialogo silenzioso che dura da secoli. Passeggiando per le vie e gli angoli della città è facile imbattersi nelle "statue parlanti", simbolo di un'ironia tutta romana.
Si tratta di una serie di opere antiche, per la tradizione sei, definite anche la "Congrega degli Arguti", su cui i cittadini romani, fin dal XVI secolo, affiggevano dei messaggi anonimi e satirici contro i regnanti.
Pasquino è forse la più nota di esse. Rimane ben poco oggi di questa opera del I secolo d.C. (copia romana di un originale in bronzo greco del III sec a.C.): il volto quasi indistinguibile, braccia e gambe assenti, la bizzarra presenza di un secondo busto.
Grazie ad alcune incisioni del XVI secolo si è capito che la statua raffigurava due corpi, probabilmente una versione di "Menelao che sorregge Patroclo morente", ed era una delle decorazioni dello Stadio di Domiziano che si trovava nell'attuale piazza Navona.
L'opera venne ritrovata nel 1501 proprio nell'omonima piazza in cui oggi si trova, durante i lavori di ristrutturazione dell'adiacente palazzo Braschi, attualmente sede del Museo di Roma.
Fu il cardinale Oliviero Carafa, responsabile dei lavori, a salvare la statua dalla distruzione e ad applicarvi il proprio stemma di famiglia.
In breve tempo il nome "Pasquino" divenne famoso. Varie sono le ipotesi sull'origine del suo nome: alcuni pensano derivi dal nome di un artigiano che lavorava nella zona nel '500 noto per la sua bravura nel comporre versi satirici; altri lo associano ad un personaggio di una novella del Boccaccio.
Una delle storie più bizzarre vuole che un gruppo di studenti di una vicina scuola chiamò la statua come il loro maestro, vista la strana somiglianza.
A Roma era già una pratica abituale scrivere nella notte cartelli satirici contro il potere e i suoi abusi; con probabilità Pasquino iniziò quasi per caso ad essere usato come messaggero dei malumori del popolo attraverso le sue "pasquinate", versi taglienti indirizzati a personaggi dell'epoca, papi e nobili in primis, messi alla berlina per i loro comportamenti.
Molti tentarono di far tacere questa scomoda statua parlante, da papa Adriano VI che ordinò di gettarla nel Tevere, sino a Benedetto XIII che ad inizi '700, tramite un editto, minacciò di pena di morte chiunque avesse osato affiggere versi satirici su Pasquino.
Non bastarono leggi o guardie notturne per fermare la sua voce.
La tradizione ebbe una battuta di arresto solo dopo la Breccia di Porta Pia nel 1870, quando le dinamiche politiche cambiarono e molti poeti sferzanti "in carne ed ossa" si affacciarono sulla scena, basti pensare al Trilussa.
Pasquino riemerse dal suo silenzio nel 1938, quando in occasione della visita di Hitler a Roma così si pronunciò:
"Povera Roma mia de travertino! / T'hanno vestita tutta de cartone / pè fatte rimirà da 'n'imbianchino venuto da padrone!"
Sottoposto a restauro negli ultimi anni, oggi Pasquino parla con moderazione e a volte è addirittura muto, ci si chiede se per salvaguardia del monumento o altro.
Rimane la leggenda e una voce nella notte silenziosa.


Statua di Pasquino

Aspetto originario da incisione

Pasquinata in ricordo di Alberto Sordi

 

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